A causa del recente sviluppo urbanistico, il centro abitato di Torregrotta a prima vista non evidenzia le proprie antichissime origini e un visitatore distratto sarebbe portato a ritenerlo il solito paese costiero, fondato in tempi recenti e sviluppatosi grazie all’esodo delle popolazioni che dall’entroterra si sono trasferite verso le marine. Ciò è vero solo in parte, dato che resti di tombe sicane sparse nel territorio e tracce di sepolture risalenti alla tarda età imperiale indicano la presenza umana sul territorio sin da epoche remote. Le vicende storiche che riguardano Torregrotta sono collegate alla particolare situazione che la caratterizza: basse colline ai margini di un ampio bacino alluvionale formato dai torrenti Niceto e Bagheria. Questi corsi d’acqua, scorrendo parallelamente verso il mare, anticamente formavano un ampio delta con relativi ambienti palustri. Proprio su questo fertile bacino alluvionale, importante punto di transito che collegava Messina a Palermo, si svolge una storia che al momento siamo in grado di documentare solo sin dal periodo normanno. Esattamente da quando, nel marzo 1168, il giovane Re di Sicilia Guglielmo II e la madre Margherita di Navarra, concessero alla badessa del monastero benedettino di S. Maria della Scala di Messina il Casale Comitis (Casale del Conte), che i saraceni chiamavano Rachal Elmelum. Area agricola importante, soprattutto per la produzione del vino e della seta, il Feudo di S. Maria della Scala e la contrada Grotta nella terra di Rocca, seguirono gli alti e bassi relativi ai grandi eventi storici che interessarono la Sicilia. Nel 1221, Federico II di Svevia, divenuto adulto, dopo aver ordinato la “Generalis Revocatio” di tutti i privilegi fino a quel momento concessi, riconfermava la donazione del Casale del Conte, fatta dai suoi avi, alle monache. Più tardi, quando i rapporti tra il Sovrano e il Papa s’incrinarono, il Casale del Conte fu sottratto con la forza al monastero del giudice messinese Afranione da Porta. Successivamente, nel periodo di anarchia feudale seguita alla morte di Federico II di Svevia, alcuni milites massinesi s’impossessarono del feudo, che però dovettero abbandonare a seguito di una sentenza emessa il 10 giugno 1267 dal Cardinale Rodolfo de Chevrières, legale pontificio, il quale ordinò la restituzione del feudo alla monache di S. Maria della Scala che erano le legittime proprietarie. Durante il periodo Angioino, il feudo tornò al nipote del Giudice Afranione da Porta e soltanto il 3 aprile 1289 fu restituito definitivamente al Monastero di Santa Maria della Scala. Da questo momento i documenti tacciono, per tornare a darci notizie a partire dal 5 maggio 1527, data in cui l’imperatore Carlo V concesse alla monache di S. Maria della Scala, la licenza di ripopolare il Casale che ormai si trovava in rovina perché da moltissimo tempo era stato abbandonato. L’imperatore autorizzava la costruzione di un “Castrum” con torre e relative opere difensive atte a proteggere i contadini che vi avrebbero abitato: il primo vero nucleo abitato dal quale si svilupperà il villaggio “Torre”. A partire da questo periodo, il Feudo di S. Maria della Scala fu amministrato da procuratori laici e divenne luogo di grande produzione vinicola. In epoca borbonica, con il fine della feudalità, l’ormai ex Feudo di S. Maria della Scala passò sotto la giurisdizione amministrativa della terra di Rocca di cui divenne sottocomune. Nella seconda metà dell’ottocento, l’aumento della popolazione e il diffondersi di una nuova classe borghese palesarono una serie d’esigenze quali il desiderio di avere una propria parrocchia, un proprio cimitero e di non dover dipendere da Rocca. Da questa richiesta scaturì una lunga diatriba che si concluse con il Regio Decreto del 21 ottobre 1923, il quale diede vita al nuovo Comune di Torregrotta, che riunisce nel toponimo il ricordo dell’antico villaggio Torre nel feudo di S. Maria della Scala e della contrada Grotta.
Cenni storici
Ultimo aggiornamento
28 Dicembre 2021, 21:01